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Una riflessione sul 25 Aprile

Giorgio Agosti, partigiano

Come siamo arrivati al 25 aprile. Quale immagine abbiamo maggiormente presente quando parliamo della Liberazione d’Italia? Sicuramente le sfilate dei partigiani nelle città liberate oppure una delle tante fotografie nelle quali vediamo singoli partigiani pronti al combattimento.

Eppure se ci fermassimo alla lotta partigiana in montagna o in città non avremmo un quadro completo della Resistenza, che chiama in causa altre memorie oggi da riscoprire.

La Resistenza militare

I 650.000 militari italiani finiti nei campi di prigionia tedeschi rappresentano una di queste memorie.

L’improvviso annuncio dell’armistizio con gli anglo-americani da parte di Badoglio (8 settembre ’43) fece precipitare nel caos il nostro esercito e i soldati si sbandarono nel tentativo spesso non riuscito di tornare a casa da tutti i fronti di guerra in cui si trovavano. I tedeschi disarmarono con una certa facilità i nostri reparti e centinaia di migliaia di soldati furono tradotti negli Stalag, ossia nei campi di prigionia per i militari.

Qual è il legame con la Resistenza?

Con un coraggio che ancora oggi ci appare eroico la maggior parte dei nostri soldati disse “No!” a ogni proposta di arruolamento nelle milizie di Salò che avrebbe permesso loro di ritornare in Italia. Seppure educati nel fascismo i nostri ventenni seppero dare una lezione di dignità a quella classe dirigente italiana che dal re ai ministri del governo Badoglio non seppe far altro che fuggire davanti ai tedeschi abbandonando un intero Paese al disastro dell’8 settembre.

I nostri soldati in Germania cercarono di sopravvivere al freddo, alla fame, alle malattie, al lavoro sfibrante nelle fabbriche del Reich. Alcune decine di migliaia morirono in prigionia ma il rifiuto del fascismo fu mantenuto fino al ritorno in Italia a guerra finita.

La Resistenza operaia

Un’altra forma di Resistenza al nazismo e al fascismo servo dei tedeschi fu la straordinaria prova che dettero gli operai del Nord con diverse ondate di scioperi a partire dal marzo del ’43 fino alla Liberazione.

Il livello delle lotte nelle fabbriche italiane non fu assolutamente eguagliato in nessun altro Paese europeo soggetto all’occupazione nazista. Solo nel marzo del ’44 scioperarono (dati delle autorità fasciste) 208.549 operai per un totale di 724.064 giornate lavorative. In realtà furono molti di più.

Lo stesso Hitler apparve preoccupato di questa evidente prova di forza. Anche in questo caso la memoria delle lotte dei lavoratori italiani appare oggi debole sia nell’opinione pubblica sia nella ricerca storiografica.

Eppure non era facile scioperare allora. Il rischio di deportazione nei lager nazisti era molto forte per coloro che organizzavano gli scioperi oppure si esponevano più degli altri nel tenere alto il morale dei lavoratori in lotta.

Dei 23.900 “Triangoli Rossi” deportati nei campi di concentramento tedeschi più della metà erano operai e operaie arrestati per poi essere uccisi a Dachau, Mauthausen, Ravensbruck (era il vero lager femminile per non ebree), Buchenwald… Gli assassinati con il lavoro, le torture e la fame furono poco più di diecimila.

Anche i deportati in Germania meritano il nome di “Resistenti” e anche loro scrissero pagine significative lottando contro lo sfruttamento dei nazisti e dei padroni italiani loro complici, pagando il desiderio di giustizia con l’internamento nei lager.

La Resistenza delle donne

Scrisse Arrigo Boldrini, il comandante Bulow: “Senza le donne noi (partigiani) non avremmo fatto niente”. Ed è vero. Senza il contributo delle donne la Resistenza non sarebbe riuscita a mettere le radici in Italia.

Le donne operarono con ruoli diversi e molteplici: dalle staffette alle partigiane combattenti operando a rischio della propria vita e di quella dei famigliari.

Scrisse Ada Gobetti: “Nella Resistenza la donna fu presente ovunque: sul campo di battaglia come sul luogo di lavoro, nel chiuso della prigione come nella piazza o nell’intimità della casa. Non vi fu attività, lotta, organizzazione, collaborazione, a cui ella non partecipasse: come una spola in continuo movimento costruiva e teneva insieme, muovendo instancabile, il tessuto sotterraneo della guerra partigiana”. Anche questa è ancora oggi una memoria debole.

La Resistenza dei civili

Ma c’è un’altra categoria di persone (la stragrande maggioranza), che durante la guerra fu oggetto di scherno da parte dei combattenti delle due parti (fascisti e partigiani), e che fu umiliata dalla miseria e abbruttita dalle difficoltà quotidiane. Mi riferisco ai civili – in gran parte donne, vecchi e bambini – che dall’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940) fino alla Liberazione dovettero convivere con la disoccupazione e la fame mai saziata dai razionamenti.

I bombardamenti, la morte dei propri cari in guerra, le loro città campo di battaglia tra tedeschi e anglo-americani fecero il resto facendo precipitare le condizioni di vita a livelli oggi inimmaginabili. Solo i bombardamenti anglo-americani provocarono circa 60.000 morti in tutta Italia. Milano in tutta la guerra subì 60 incursioni aeree tra le quali i terribili bombardamenti dell’agosto del ’43 che provocarono un migliaio di vittime. Anche queste sono pagine rimosse con troppa facilità.

Furono eroiche soprattutto le donne che per tanti mesi lavorarono per un salario di fame, fecero lunghe ed estenuanti code per comprare qualcosa per i propri figli a casa, sempre con la paura del successivo bombardamento notturno e con il pensiero costante al figlio o al marito in qualche lontano fronte di guerra.

Eppure a guerra finita la vittoria della Resistenza armata surclassò la “resistenza disarmata” dei più misconoscendo a volte la dignità, la forza, la caparbietà nel sopravvivere a tutti i costi in realtà quotidiane drammatiche.

Per identificare il comportamento della popolazione non belligerante nacque con lo storico Renzo De Felice l’espressione “zona grigia” tra il combattentismo dei partigiani e la militanza fascista di Salò, ma l’espressione nascondeva anche un giudizio sferzante sulla maggioranza della popolazione italiana che sembrò “stare alla finestra” mentre gli altri combattevano.

In realtà anche i civili resistettero alle tante tragedie collettive e familiari di quegli anni con una dignità che poi trovò ricettacolo nei tanti racconti familiari del dopoguerra.

 

 “Questi innumerevoli morti, questi torturati, questi massacrati, questi offesi sono affare nostro.

Chi parlerebbe di loro se non ne parlassimo noi?

I morti dipendono interamente dalla nostra fedeltà”

V. Jankelevich

ultima modifica:  02/05/2017
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